19 luglio 1992 – “Sunday, bloody sunday”

  • 19 / 07 / 2021 235 Views

Ci sono date che non si dimenticano, rimangono scolpite nella nostra mente e rivivono ciclicamente come in una sorta di “memento mori”, un monito perenne; sono quelle date che appartengano alla storia del nostro paese ed inevitabilmente si legano indissolubilmente alla vita di ognuno di noi. Sarà sicuramente nitido il ricordo in ciascuno di noi di ciò che stava facendo il 19 luglio del 1992, nel momento esatto in cui veniva raggiunto dal quella “maledetta notizia” dell’attentato nel quale il Giudice Paolo Borsellino e i suoi cinque angeli custodi furono fatti esplodere dalla cieca ed ignorante barbarie mafiosa.  E lo avrà sicuramente ancor più nitido proprio perché, neanche due mesi prima, il 23 maggio dello stesso anno, era rimasto sgomento, attonito dalla ferocia della strage di Capaci, dove il tritolo fece esplodere un intero tratto di autostrada per colpire mortalmente il Giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della sua scorta. Era “la stagione delle stragi”, l’escalation di follia mafiosa che caratterizzò l’attacco diretto, violento e insolente dei corleonesi allo Stato. In quello stesso giorno, Borsellino comprese la necessità di sbrigarsi con le sue indagini Ed ancora, il 30 giugno del 1992, un mese dopo l’attentato all’amico fraterno e collega Giovanni Falcone – nonché un mese prima dell’attentato di via D’Amelio – nel corso della storica intervista concessa a Lamberto Sposini, lo stesso Borsellino pronuncio la laconica e profetica frase: “Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano”. Quella fu anche la sua ultima intervista. Paolo Borsellino, insieme al fratello Giovanni Falcone avevano intrapreso con lucida fermezza e coerenza una lotta alla mafia senza quartieri, senza sconti, al di là delle barriere nazionali ma soprattutto con l’intento di distruggere quelle barriere culturali che costituiscono l’humus, il terreno fertile nel quale si sviluppa la logica mafiosa, fatta di connivenze, omertà, opportunismi. In merito al fenomeno mafioso, il 30 agosto del 1991, Falcone disse: La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni”. Nella lotta mafia intrapresa dalle splendide figure di Falcone e Borsellino, si stagliano luminose figure dell’Arma dei Carabinieri che proprio con loro hanno collaborato, svolto indagini importanti, anche al prezzo della propria vita: come non citare il Capitano Emanuele Basile che già dai tempi di Monreale, proprio con Borsellino iniziò la prima indagine su “cosa nostra” che poi lo uccise il 4 maggio del 1980. L’opera di Basile fu portata avanti dal Capitano Mario D’Aleo, il quale insieme ai colleghi Bommarito e Morici furono freddati il 13 giugno del 1983 dalla mafia che stavano combattendo. E poi ancora Vito Iavolella, Alfredo Agosta, il Generale Carlo Albero Dalla Chiesa, Salvatore Bartolotta e Mario Trapassi, questi ultimi uccisi nell’attentato al giudice Rocco Chinnici. La lista sarebbe lunga, lunghissima, ma noi oggi vogliamo ricordare Paolo Borsellino ed i suoi cinque angeli: Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna impiegata nelle scorte e prima donna vittima della Polizia di Stato a soli 24 anni), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, tutti caduti per difendere un ideale in quella “domenica, sanguinosa domenica” del 19 luglio del 1992 che trasformò in una trappola mortale quella che doveva essere una tenerissima visita alla madre che abitava nell’ormai tristemente nota via Mariano D’Amelio (che per coincidenza, fu anch’egli magistrato, senatore e Presidente della Corte Suprema di Cassazione negli anni 1920-1940). L’unico sopravvissuto, l’agente Antonino Vullo, racconterà di quell’inferno, della 127 imbottita con 90 chili di tritolo e fatta esplodere, “dei brandelli di carne umana sparsi dappertutto”, in uno scenario apocalittico che ha lasciato tutti imponenti. Lo Stato ha risposto, le Istituzioni hanno rialzato la testa e tutti noi conosciamo le successive e brillanti operazioni che hanno portato all’arresto di Totò Riina, Bernando Provenzano, Giovanni Brusca, Pietro Aglieri e tanti altri mafiosi autoproclamatisi “uomini d’onore”, locuzione che a chi come noi indossa una uniforme con il vero significato di “disciplina ed onore”, suona quasi come una bestemmia inaudibile!
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